La banalità dei passeri

Chi mai li aveva presi in considerazione i passeri: chi mai li aveva cantati, evocati, celebrati. I passeri erano banalità domestica, grigiore quotidiano e urbano: questo erano i passeri fino all’altro ieri. Perché nessuno, ma proprio nessuno, in questa società che non cessa di celebrare le proprie mediocrità e i propri insulsi ed effimeri eroi, si è mai accorto di quanto i passeri fossero importanti.

Sospetto sia stato per questo, proprio per questa ragione, che i passeri ad un certo punto hanno deciso di scomparire. Poco a poco, silenziosamente, i passeri hanno cominciato ad eclissarsi; ad abbandonare la scena e a darci il benservito. Ma a quel punto, nel momento stesso in cui le albe, i cortili e i tetti sono diventati silenziosi: in quel preciso istante, ci si è resi conto di quanto i passeri fossero importanti.

All’improvviso il popolo, la gente, i cittadini, hanno realizzato che il venir meno di questo banale “arredo vivente” della loro quotidianità, aveva creato un vuoto e un silenzio eccessivi, spegnendone la vitalità e le musiche che la rendevano gradevole. Ci si è cioè resi conto di quanto fossero importanti i “passeracci” che nella Roma capoccia di Venditti “so’ usignoli”, o di quelli che riempivano di musiche indefinibili i pomeriggi azzurri dell’estate in cui si cercava “un po’ di Africa in giardino, tra l’oleandro e il baobab” per dirla alla Celentano.

Per questo, noi, ora, abbiamo voluto ricordarli ai nostri concittadini: perché i passeri erano la musica di fondo dei nostri momenti d’ozio, delle nostre pene d’amore adolescenziali, dei lunghi pomeriggi estivi dell’infanzia e persino dei giorni trascorsi a letto, in attesa che la febbre si spegnesse. Per questo desideriamo ringraziarli: per essere stati un “banale arredo vivente” della nostra vita. Lo stesso di cui ora, nel momento in cui ci interroghiamo sulla loro scomparsa senza trovare risposte scientificamente attendibili, avvertiamo una grande, irrimediabile nostalgia.

 Ma cosa mai è accaduto a Passer domesticus.

La domanda è impegnativa e tale per cui, non solo non sono disponibili risposte immediate, ma si richiedono ricerche specifiche. In Gran Bretagna, ad esempio, il quotidiano londinese Independent ha offerto un premio di 5.000 sterline (oltre 16 milioni di lire) al primo articolo scientifico scritto per svelare il mistero. La giuria sarà composta dalla Reale Società per la Protezione degli Uccelli e dalla Fondazione Britannica per l’Ornitologia.

Questo significa che il problema è serio e le cifre lo confermano, se è vero che il calo europeo della popolazione di questa specie ha raggiunto un valore del 65%.

Noi non abbiamo risposte, ma qualche ipotesi la possiamo comunque azzardare, per quanto possa sembrare scontata:

Si tratta, probabilmente, di una serie di concause, ciascuna delle quali ha contribuito a rendere meno favorevoli le condizioni di vita del passero nelle nostre realtà urbane e rurali e soprattutto in queste ultime. Si è trattato probabilmente di un decremento vistoso di nicchie d’habitat idonee alla specie, di sostanze chimiche impiegate in agricoltura (spesso quelle “nuove” manifestano esiti sconosciuti alla scienza e a distanza di decenni, per accumulo) e di patologie virali, magari trasmesse da qualche commensale del passero stesso.

A proposito di nicchie d’habitat idonee, vorremmo sottolineare come la nuova architettura, urbana e rurale, sia in assoluto antitetica alle specie animali (non solo uccelli) che per millenni hanno convissuto con l’uomo, condividendone gli spazi di vita e offrendogli, gratuitamente, una nota di bellezza e di vitalità. Pensiamo ai rospi smeraldini, alle lucertole, ai rondoni, alle civette, ai barbagianni e, appunto ai passeri. Nei nuovi mastodontici edifici progettati dai grandi architetti (sempre autoreferenziali) non c’è spazio che per uomini spaesati e privi di identità e le facciate in cristallo sono spesso trappole mortali per i piccoli volatili. Non sarebbe allora il caso di inserire nei corsi di architettura, delle nostre malandate facoltà universitarie, un laboratorio per un’architettura compatibile che prendesse in considerazione anche la piccola fauna selvatica urbana?

Di certo i “passeracci” ringrazierebbero. 

Michele Zanetti

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